Caterina Tosoni nasce a Milano nel 1961. Dopo il liceo artistico, interessata ad approfondire lo studio dell’anatomia umana, si iscrive ad un corso biennale di disegno anatomo-chirurgico. Nel 1982 inizia la sua carriera d’illustratrice lavorando per importanti case editrici come Garzanti, Mondadori, Rusconi, Fabbri Editori, Peruzzo ma anche per il Touring Club italiano e la rivista Selezione dal Reader’s Digest.

Negli anni novanta si accosta alla pittura con un approccio completamente nuovo che la spinge ad indagare il paesaggio della periferia industriale milanese facendone emergere le contraddizioni. In questa fase di ricerca Tosoni ritrae soggetti floreali macroscopici ed iperrealistici che si stagliano sullo sfondo di periferie industriali sempre rappresentate in fuori fuoco, quasi per velarne il degrado.

Nei primi anni duemila la riflessione sul paesaggio industriale, unita all’indagine sul rapporto uomo-natura, conduce Tosoni ad inserire sulla superficie pittorica elementi plastici di vario tipo. Con questo gesto apparentemente semplice  l’artista dichiara in modo inequivocabile la volontà di travalicare la superficie bidimensionale del quadro, inaugurando una ricerca nuova che si sposta su un piano decisamente scultoreo, anche quando gli elementi plastici sono ancora distribuiti su una superficie bidimensionale.

Tosoni sceglie la plastica -protagonista indiscussa del sistema di produzione industriale moderno- non solo come elemento simbolico per condurre una riflessione attualissima sull’inquinamento globale, ma anche come elemento compositivo. La plastica è dunque eletta a materiale compositivo, al pari del colore da stendere o della creta da modellare.

Per dare forma alla sua ricerca l’artista preleva, e dunque decontestualizza, una serie di oggetti d’uso comune per poi azzerarne il loro potere seduttivo grazie all’impiego del colore monocromo ed utilizzarli nella loro valenza plastica: dapprima distribuendoli semplicemente all’interno di una superficie che funge da quadro-cornice, poi sovrapponendoli in cumuli tridimensionali, fino a far interagire gli oggetti di plastica con materiali naturali come il legno o la pietra, costretti a subire una metamorfosi. Si delinea dunque il fulcro dell’indagine artistica di Caterina Tosoni, il tema della metamorfosi, un concetto ricco di spunti critici e di rimandi classici impiegato dall’artista per suggerire il continuo mutamento e adattamento reciproco tra l’uomo e il pianeta. L’opera diventa dunque il medium attraverso il quale l’artista si interroga sulla possibilità di interagire rispettosamente con la natura ma anche il luogo fisico in cui questa interazione si costruisce in modo armonico, risolvendosi in un’osmosi ordinata tra materiale naturale e materiale plastico. La ricerca di Tosoni si contraddistingue proprio per la capacità di porre interrogativi sul mondo, ristabilendo un’interazione profonda tra arte e vita, ovvero tra indagine estetica e riflessione etica.

I riferimenti estetici di questa complessa indagine scultorea sono da ricercare nella poetica dell’objet trouvé, declinata però in modo nuovo. Gli oggetti scelti da Tosoni non solo mantengono la loro memoria d’uso, facendosi portatori di molteplici rimandi simbolici, ma generano una precisa grammatica oggettuale, un linguaggio complesso e multiforme di cui l’artista si serve sperimentandone le infinite possibilità combinatorie. L’artista si serve dunque di questo alfabeto compositivo per creare nuove forme scultoree, come avviene nelle Metamorfosi, oppure per tracciare percorsi plastici ordinati, come nei Tableau geometrici o nelle  Mappe – cartine geografiche dove gli oggetti ricostruiscono minuziosamente la topografia dei luoghi – oppure per creare composizioni più libere come accade nelle Isole dove gli oggetti, disposti sulla superficie con apparente casualità, sembrano emergere da un mare di plastica colorata. Il gusto compositivo e il grande equilibrio formale delle opere di Caterina Tosoni ci riporta alle inquietanti sculture meta-meccaniche di Jean Tinguely, alle affascinanti compressioni di César o alle accumulazioni di Arman, rilette però in chiave assolutamente moderna articolando un paradigma di nuove possibilità estetico-formali, in un gioco incessante di pieni e di vuoti condotto con grande consapevolezza.

Dagli anni duemila, le opere di Caterina Tosoni sono state esposte in numerose mostre personali e collettive. La sua prima personale, Euritmia, si svolge nel 2009 allo spazio Tashi Delek di Milano. Nel 2012 è invitata allo Spazio Oberdan di Milano, dove presenta Mutazioni Plastiche, una mostra personale a cura di Milo Goj, con catalogo e testi critici curati da Luca Beatrice. Nel 2016 è chiamata a partecipare alla mostra I materiali della pittura presso lo spazio espositivo Il Frantoio di Capalbio, dove allestisce una sala con opere e installazioni inedite.

Negli ultimi anni la ricerca di nuovi linguaggi spinge Caterina Tosoni a confrontarsi con l’arte ambientale, progettando installazioni ed opere monumentali come Metamorfosi in blu, un intervento artistico-ambientale realizzato per l’edizione 2016 del progetto Terravecchia, nel borgo di Frasso Telesino (BN). Nel febbraio 2017 è invitata a partecipare alla prima edizione di MADE IN FORTE. Percorsi d’arte e di luce, una rassegna di scultura ambientale contemporanea, a cura di Beatrice Audrito e Davide Sarchioni, che ha coinvolto dieci artisti internazionali chiamati a realizzare sculture e installazioni site-specific per le vie del centro di Forte dei Marmi. Nell’aprile dello stesso anno Tosoni realizza per Guzzini l’opera monumentale Material-Immaterial, esposta all’interno dell’Orto Botanico di Brera in occasione del Fuori Salone milanese, a cura della rivista Interni.  Nel 2018 ha realizzato un grande progetto artistico-ambientale, Linfa plastica, intervenendo su diciotto tronchi recisi trasformandoli in vere e proprie sculture a cielo aperto, dando vita ad un nuovo itinerario artistico che si snoda tra le vie del parco Rivolta a Bresso (MI). A novembre 2018 partecipa a Paratissima Torino con la grande installazione site-specific Metamorfosi Ambientale, offrendo un’esperienza multisensoriale mediante una base sonora che ha creato appositamente unendo la registrazione di suoni presenti in natura con suoni prodotti da elementi plastici.

A luglio 2019 la  prima delle sue  sculture in plexiglas della nuova serie Minerale plastico è entrata a far parte della collezione permanente del prestigioso Museo del Parco di Portofino, centro internazionale di scultura all’aperto.

Vive e lavora a Milano.

                                                                                                                                                                                              Beatrice Audrito