Metamorfosi
La ricerca di Caterina Tosoni si colloca all’interno di quel versante del contemporaneo che ha visto diversi artisti realizzare opere con materiali plastici di varia origine e funzione, ricognizione di forme preesistenti che interagiscono tra natura e cultura. L’uso creativo della plastica rientra nel generale sperimentalismo di materiali con cui pittura e scultura hanno infranto i limiti disciplinari modificando il volto codificato degli oggetti, in chiave volta per volta diversa: dada, surreale, pop, realistica, onirica e fantastica. Questo tipo di operazione oscilla tra manipolazione e assemblaggio, tra modulazione e montaggio, citazione integrale degli oggetti e loro conseguente spaesamento, attraverso un potenziale atteggiamento critico che corrisponde alla poetica individuale di ogni artista.
Cogliere il senso dei diversi modi di utilizzare i reperti plastici significa valutare nella sua complessità la rilevanza fisica e il peso immaginativo che i materiali impongono attraverso contrapposte dinamiche spaziali.
Nel ciclo delle “accumulazioni quotidiane” Tosoni coinvolge differenti morfologie per suggerire ulteriori stimoli immaginativi, non si tratta solo di far valere i molteplici metodi combinatori ma di attuare una metamorfosi continua di visioni umane, vegetali e minerali, legate dalla possibilità di attivare un processo di reintegrazione reciproca e totale.
Sono visioni basate su congiunzioni e sdoppiamenti che l’artista ha sviluppato fin dalle prime fasi del suo “fare”, usando disegno e illustrazione scientifica, fiori dipinti e inserti artificiali: un dialogo tra tecniche in grado di evocare suggestioni naturalistiche attraverso le mutazioni dell’umano sentire.
L’impegno primario è stato in seguito quello di selezionare dal repertorio degli oggetti disponibili un nuovo alfabeto plastico, una sovrapposizione di linguaggi predisposti a raccontare le storie del mondo attuale, le contraddizioni tra uomo e società, l’inquietudine e il disagio di fronte alle condizioni inquinate della natura e della vita collettiva.
L’invadenza visiva degli oggetti viene attenuata dalla colorazione monocroma che unifica le diversità, attenuando lo stratificarsi dei frammenti attraverso un velo luminoso che stacca l’opera dallo spazio circostante. In tal senso, Tosoni progetta e realizza percorsi plastici mutevoli seguendo modalità compositive che vanno aggregandosi dalla superficie all’ambiente, dal piano al tutto tondo, dalla geometria all’informe, polarità dialettiche che spesso convivono nella stessa opera, accrescendo la tensione dinamica delle energie in corso di elaborazione.
E’ dunque l’idea di metamorfosi a guidare il quotidiano accumulo di reperti, scelti per la loro adattabilità e assimilati con particolare attenzione ai dettagli e agli effetti prodotti dalla somma degli elementi utilizzati. Metamorfosi è concetto che designa interferenze e contrasti, un movimento del pensiero aperto a valenze sinestetiche che evocano convergenze visive sonore tattili e olfattive, sensazioni che di solito vengono considerate separatamente, mentre non bisognerebbe mai sentirle come tali.
Ne è prova l’ampia gamma di atmosfere monocromatiche (bianco, ocra, arancione, azzurro, rosa, giallo, rosso, verde) che creano stacchi tra un’opera e l’altra, campi di luce volutamente opaca, con minime variazioni di tono che stabiliscono altre consonanze, altri nessi sensoriali.
Carica di profumati sensi è la presenza di fiori e tralci arborei (rosa, gerbera, margherita, azalea, calla, fiordaliso, spiga, lavanda), elementi di piacevole impatto che infondono con i loro vividi colori quel tocco di energia che influisce sull’equilibrio percettivo delle accumulazioni. Naturalmente, si tratta di pure sollecitazioni immaginative, nulla di effettivamente odoroso, ogni eccitazione proviene dalla memoria olfattiva della natura, dalla ricerca di paradisi perduti, diventati ormai giardini di plastica artificiali e inodori.
Duplicità
Una delle idee fondamentali dell’arte di Tosoni è la dualità del linguaggio, l’integrazione tra due parti distinte, al fine di costruire un’immagine doppia che esalta la duplicità delle materie usate in funzione di un’unica forma.
Se l’artista seziona un tronco di legno, lo fa per ricostruire la parte mancante con oggetti di plastica in modo che il loro aggregarsi possa far presa con le fibre lignee. L’insostituibile rapporto tra natura e artificio diventa un’interazione provvisoria, l’opera è il luogo per interrogare le possibilità di congiunzione tra materiali anomali, la doppia realtà percettiva tiene sempre in tensione il ruolo della fantasia, chiamata a riplasmare le dinamiche interne della forma.
Analoga metodologia è utilizzata nel caso di una “metamorfosi animale”, i reperti si commisurano alla forma essenziale dell’Unicorno che si protende verso l’alto, scaricando la tensione dal basso verso la punta estrema.
La demarcazione delle materie (osso e plastica) è una linea sottile che segue l’atto di sezionare e ricostruire il volume, una linea che si insinua e incrina il corpo solido in cui stanno racchiuse realtà fisiche contrastanti.
Per altri versi, nel realizzare una “metamorfosi minerale” viene valorizzata l’apparenza primordiale della materia, pietra e plastica risultano aggrappati l’uno all’altra, situazione di instabile amalgama delle diverse consistenze.
Talvolta l’immagine sembra in bilico, come in un cumulo di sassi e di piccole sfere di polistirolo in cui si avverte una forte tensione verso l’unità del dissimile, aggregazione in divenire tra natura e artificio.
Con questa trilogia della “metamorfosi” Tosoni intende riscoprire un rapporto di continuità tra le cose, il sogno di una visione integrale dell’esistenza capace di umanizzare la natura ripercorrendo i processi di trasformazione di una materia nell’altra. Inoltre, l’artista pone attenzione sui problemi etici dell’attualità, riflette sulla presenza del male e del dolore, rifiuta la violenza sull’ambiente, è convinta che la natura possa comunque resistere a tutti gli stravolgimenti subiti, essendo una realtà universale, insostituibile e necessaria alla sopravvivenza umana.
L’impegno ecologico si sposta su aspetti che riguardano la “clonazione”, la sostituzione del corpo come ricostruzione di un’identità disgregata, riconquistata sempre in rapporto ai canoni della morfologia umana.
La relazione tra corpo e tecnologia comporta un chiaro riferimento alle ingegnerie genetiche, ma l’artista non elabora trascrizioni estetiche di questo problema, non è interessata a rappresentare le modificazioni del corpo con cui l’individuo può scegliere la propria metamorfosi.
La ricerca di Tosoni esalta l’ingombro naturale degli oggetti e delle icone che simbolicamente riproducono le sembianze dell’uomo, dalle origini della classicità fino ad oggi, attraverso le modificazioni culturali delle forme anatomiche. Anche in questo caso prevale il meccanismo dell’immagine doppia, sia che si tratti di una statua antica ricostruita in cemento e plastica (David), del busto di un famoso musicista (Beethoven), oppure della solenne bellezza di una colonna antica, canone di lontana civiltà congiunta alle contaminazioni del presentefuturo.
Nella raffigurazione della penisola italiana o dei continenti del mondo, l’immagine geografica è affidata alla congestione di oggetti che sostituiscono la morfologia della crosta terrestre. L’anelito all’uguaglianza espresso nei titoli di queste opere comprende sia ideali di giustizia sociale sia i rischi dell’omologazione, rispetto alla quale l’artista sente necessità di trasformare la presenza dei vuoti stereotipi di plastica nell’energia di forme vitali che induce a riflettere sulle contraddizioni dominanti della società.
Come altri autori impegnati su questo fronte di pensiero, Tosoni non s’illude che il lavoro dell’arte possa ribaltare lo stato delle cose, ma certo non rinuncia a testimoniare attraverso il divenire delle opere il desiderio di libertà, autonoma immaginazione che tramuta la passività dell’uomo massificato in un atto di consapevolezza critica dell’esistente.
Sostituzioni
Nelle “mappe” di plastica l’idea che unifica la presenza delle diverse civiltà è affidata a oggetti prodotti in serie che hanno ormai invaso ogni angolo del mondo, fino a impedire che possa essere ristabilito un equilibrio armonico tra uomo e natura, tra individuo e ambiente, tra soggetto e totalità.
Per Tosoni l’arte deve saper reagire al degrado delle sorti umane indicando una dimensione non condizionata dalle regole del profitto, aperta ai flussi dell’emozione, al piacere di guardare il mondo in prospettiva ludica.
La dimensione del gioco è un sorriso che entra nello spazio dell’opera alludendo a come potrebbe essere il mondo se a guidarlo fossero gli artisti,
antica utopia di una società estetica capace di reintegrare l’uomo nel reale. “Giocomania” è il titolo di un’opera dove le materie s’inerpicano cercando qualcosa di sfuggente nel respiro del vuoto, in effetti tutte le opere sono pervase da questa animazione di oggetti immessi in uno spazio effimero che si fa gioco dell’eternità, unica verità è quella dell’arte che accumula le cose e ne fa luogo di visioni fantastiche.
Efficace è la critica del consumismo che emerge nel “nuovomondo”, ovvero un banale mappamondo da tavolo la cui superficie è per metà ricoperta da un pullulare di microsegni plastici, con una buona dose di ironia che rimanda all’inquinamento visivo, mentale e corporale.
A ben vedere, terra e mare sono già di per se stessi invasi da scarti di ogni tipo, così che il valore figurale di quest’immagine non rimanda a universi astratti e immaginari ma indica il livello percettivo di un degrado in atto.
“Non vi è polemica nell’arte di Caterina Tosoni, ma voglia di risposta ad alcune domande di attualità e c’è una presenza che materializza la sua domanda”, così ha osservato Giorgio Falossi (2008) a proposito della sintesi formale che nel corso degli anni diventa sempre più dominante. Infatti, il messaggio dell’artista è diverso da quelli provocatori di chi usa i rimasugli di plastica come spazzatura, trash indistinto, estetica del riciclo, Nel suo caso l’accumulazione è un metodo per rianimare i segni del consumo valorizzando l’aspetto attraente delle forme, prelevate dal mondo, rivendicate dalla fantasia, strutturate in nuovi ipotesi espressive sensoriali.
Si tratta di una rigenerazione immaginativa sorretta dal desiderio di disattivare la saturazione consumistica partendo dai segni della memoria collettiva, dall’orizzonte delle merci ridotte a simulacri di perdute funzioni.
Il meccanismo aggregativo è un sistema di trasposizione capace di favorire una “invasione silente” di fervori plastici, come nel caso di una sedia assediata da infiorescenze di plastica, insediamenti fitoformi del rosso in un continuo crescendo spaziostrutturale. Ovviamente, tutto è legato al consueto processo metamorfico a cui le materie sono sottoposte, utilizzate per mettere in scena l’azione multipla di forme che rimandano alla propria autonoma urgenza di proliferare. L’operazione è possibile perché la disposizione dei materiali è sempre variabile, basata su equilibri instabili di toni e di colori, di forme disparate che oscillano tra ordine e disordine, tra continuità e interruzione, scomposizione e ricomposizione di lacerti sorretti dall’estro dell’artista.
Ciò avviene anche quando l’accumulazione programmata produce immagini intuitive che respingono ogni spiegazione razionale, come se la struttura dell’opera potesse bastare a se stessa, caos ordinato, visione indipendente che trova nei propri meandri la sua ragion d’essere.
Assestamenti differenti crescono nella serie di rilievi plastici, dove il movente degli oggetti (object trouvé o ready made) crea una polifonia di colori affidati al punto di vista del lettore, istanti tattili che appartengono al corpomente di chi osserva contrapposti contagi della bellezza.
In una piccola scultura rossa con mughetti bianchi lo sguardo corre sull’orlo degli oggetti, si insinua all’interno delle sovrapposizioni, sta in bilico tra i pieni e i vuoti, fino indagare ogni recondito dettaglio, non perdendo di vista l’insieme delle forme che sale dal basso verso l’alto, quasi per sopravvivere con fantasia al naufragio della ragione.
Accumulazioni
Per indicare la congestione dei linguaggi Tosoni immagina lo schermo tecnologico (televisore o computer) come se fosse “la bocca del drago”, congerie caotica di frammenti che indicano la saturazione del comunicare, il rincorrersi nevrotico delle notizie con l’inevitabile conseguenza di porre lo spettatore in uno stato di continua instabilità, tra “scienza e coscienza”.
Saturo è lo spazio della città, l’iconosfera urbana intasata dalle macchine, la vita soffocata dalle merci, l’architettura come contenitore di simboli utili soltanto a soddisfare i meccanismi perversi del consumo, senza rispetto dell’individuo, cifra anonima negli ingranaggi della macchina sociale.
Ci sono opere dove la sensazione è che gli oggetti non trovino mai pace, sembrano in rivolta rispetto all’ordine stabilito, si arrampicano gli uni sugli altri, si ammucchiano dentro le teche che servono a proteggerli decretando la loro distanza dal mondo, ormai fanno parte dello spazio irrevocabile dell’arte.
E’ forse impresa vana citare gli oggetti che partecipano a queste ibridazioni dove tutto ciò che è di plastica è prezioso nutrimento per il propagarsi dei loro simulacri, eppure forte è l’attrazione di riconoscerli uno per uno.
Nel “vortice esistenziale” entrano pettine spazzola e rasoio, presa elettrica tubo e lampadina, forchetta forbice e flaconi di ogni tipo, musicassetta flauto e appendiabito: nulla che abbia ragion specifica di esserci, solo tracce di vita vissuta e pianificata, ad eccezione del fiore rosso di passione posto al centro della spirale quotidiana.
Del resto, la somma dei singoli elementi produce effetti che vanno oltre la quantità degli oggetti accumulati, “nel mezzo del cammin di nostra vita” allude all’infinito labirinto interiore dove lo sguardo torna su se stesso attraverso le sembianze predilette degli oggetti. Nel percorso strutturale le forme sono scelte meticolosamente per essere ricomposte all’interno del flusso che culmina con la corolla di una margherita, simbolo del desiderio che interroga continuamente il suo oggetto d’amore.
Non tutti gli aspetti sono visibili nel processo euritmico delle composizioni, in tal senso l’idea di accumulazione può essere intesa come metafora delle conoscenze acquisite, visione fluttuante che sfugge ai modelli prefigurati, trama sconfinata che varia all’infinito.
Tosoni è consapevole che il valore della costruzione comporta un’esperienza simile al processo della vita, in quanto l’assemblaggio dei pensieri è mutevole, la forza dell’accumulo sviluppa energie che vanno oltre la meccanica delle singole componenti.
Lo scarto tra il meccanico e l’imprevedibile sta nella vitalità operativa che va oltre i limiti in cui essa stessa avviene, condizione necessaria per garantire che l’esecuzione possa modificarsi durante l’avventura del fare.
Questa qualità è fondamentale per attribuire all’arte un valore non semplicemente artigianale ma espressione di una tensione che non esiste prima del processo generativo della forma. Esiste infatti solo dopo che l’intuizione ha prodotto una nuova congiunzione, a questa convinzione fa pensare un’opera tra le più minimali realizzate dall’artista, l’immagine emblematica del mattone spezzato e ricostruito con la plastica, modulo costruttivo per edificare nuove architetture della mente.
Visioni del futuro
Alcune opere sottolineano ironicamente le false utopie del nuovo secolo, nello scrigno del futuro c’è un aureo tesoro di plastica mentre nel contenitore di vetro per alimenti è racchiusa l’immagine simulata del pomodoro, la conserva del Tremila senza più aroma né sapore, esaltata solo nella sua fragranza esteriore.
Per opere di questo tipo Tosoni ama usare la definizione “capsule del tempo”, in quanto contengono oggetti che hanno perso la loro autenticità, in molti casi sono desue sono comunque lontani dal clima naturale e assorbiti dalla plastificazione dei sensi.
La funzione dell’arte è di esortare a custodire la storia del gusto, di contrapporsi alla minaccia dell’oblio creando luoghi fisici dove si coltiva la memoria dei sapori, convertendo l’identità originaria in qualcosa che sappia anche di favola, purchè sia capace di sorprendere.
In “cibo e futuro” una forchetta di plastica è sovrapposta a un vassoio di alimenti che nulla hanno in comune se non l’aroma artificiale del colore che li rende uniti, l’impressione è che questa immagine non sia molto lontana da quelle che si vedono nelle mense, nei selfservice, negli autogrill dove la gente consuma in fretta il cibo trascurando quasi di guardarlo.
Presa da queste angosce quotidiane, l’artista reagisce e ripercorre sogni che nascono dagli spazi d’avventura dell’infanzia, dal desiderio di viaggiare tra i rinascimenti delle forme, gravitando nelle atmosfere irreali del laboratorio in cui le opere sono progettate e realizzate nei minimi dettagli.
Ne “L’onda del tempo” si coglie il modo di giocare con i ricordi del passato, con l’immaginegiocattolo del veliero posto sulla cresta del pensiero, sospinta dalla massa di oggetti dipinti di blù, dal piano d’appoggio da cui tutto si protende verso il riflusso sonoro del mare.
E’ questa una delle allegorie più limpide all’interno delle metamorfosi figurali che Tosoni riscopre tra le sorgenti del suo fantasticare, la schiuma dell’onda ha un carattere scenografico, l’assemblaggio degli oggetti rende
teatrali gli attimi in cui lo sguardo è coinvolto dalla natura, non può più guardarla a distanza.
Parallelamente a questi racconti si pone un ciclo di accumulazioni dove sono valorizzate le strutture di propagazione del movimento, in questo caso i titoli delle opere non hanno più funzione figurale (lampo, raggio, stella, anello) ma indicano soltanto le valenze geometriche che guidano l’incastro degli oggetti: quadrato, vertice, cerchio, incrocio, contatto, quasi pieno, la metà, le due parti, positivo, negativo.
Su questa esigenza di definizione strutturale si inseriscono altre soglie di attenzione per modificare la percezione delle differenti monocromie, si tratta dell’interferenza di un secondo indice cromatico: l’oggetto bianco nel blù, il disco giallo sul verde, il cerchio arancio sul viola, il numero in giallo sul verde, la traccia verde sul grigio metallico, dialettica interna che l’artista risolve con continue variazioni del suo alfabeto oggettuale.
Nella varietà di questi orientamenti Tosoni non rinuncia agli effetti imprevedibili, al brusio brulicante di forme e di colori che vanno in tante direzioni, si affacciano e si ritraggono come un respiro dalle fasi alterne.
Per l’allestimento di questa mostra è prevalsa l’esigenza di armonizzare i molteplici ritmi delle opere attraverso una sequenza di riquadri colorati che caratterizzano la funzione espositiva delle pareti rispetto alle basi in cui sono collocate le sculture a tutto tondo. Una scelta necessaria per coinvolgere lo spazio della galleria Allegrini offrendo allo spettatore una lettura totale delle opere, sintesi completa delle recenti fasi di ricerca.
Ed è proprio l’alone magico dei colori che inquadrano le singole accumulazioni a tenere lo spazio in tensione, ad accentuare la vibrazione plastica delle forme nell’ambiente, affinchè lo spettatore possa muoversi tra la calcolata disposizione delle opere e la possibilità di smarrirsi nel loro corpo mutevole e attraente.
Claudio Cerritelli